
Non sono un politico e non ho mai fatto politica.
Sono un economista aziendale e soprattutto un imprenditore, un imprenditore interessato al tessuto sociale ed economico del nostro territorio.
Secondo gli ultimi dati provvisori dell’Ufficio federale di statistica, il 99,7% delle società in Svizzera sono piccole e medie imprese, le famose PMI. Tra queste ci sono le microimprese, piccole realtà imprenditoriali che operano sul nostro territorio con meno di 10 dipendenti e rappresentano quasi il 90% di tutte le aziende. Le PMI sono quindi la quasi totalità del tessuto economico della Confederazione e generano qualcosa come oltre 3 milioni di posti di lavoro, il 67% dell’intero mercato del lavoro. Possiamo dunque definirle, senza paura di essere smentiti, il motore trainante della nostra economia: creano posti di lavoro e generano indotto e benessere generale per l’intero Paese.
L’esperienza maturata in questi anni mi dice che un’impresa per essere solida, sana e con un potenziale di crescita necessita di un contesto in cui le istituzioni fissino sì delle regole, senza però imporre inutili complessità che rallentino o addirittura inibiscano la creazione di valore. Un imprenditore deve potersi dedicare completamente ai propri affari, plasmare e concretizzare le proprie idee, essere presente sul mercato, definire gli elementi distintivi del suo prodotto, dare un’impronta e trasmetterla ai collaboratori con passione ed entusiasmo.
Negli ultimi 10-15 anni invece, chi fa impresa sul nostro territorio si è ritrovato a doversi districare all’interno di una miriade di normative che tendono a voler gestire l’eccezione anziché la norma. Perché, diciamocelo, nonostante i tanti, troppi tentativi di discreditare la categoria, la maggior parte degli imprenditori e le loro rispettive aziende operano in maniera virtuosa e nel pieno rispetto delle regole. L’imprenditore non ha bisogno quindi di inutili ostacoli creati da un’altrettanta inutile burocrazia: le istituzioni dovrebbero anzi favorire chi fa impresa!
In questo senso, sarebbe auspicabile che lo Stato garantisse presupposti quadro entro i quali operare in serenità adeguandosi alle condizioni definite dal mercato. Non sto parlando di attrattiva fiscale, per quanto possa rappresentare un fattore competitivo importante, ma di elementi che contraddistinguono un territorio orientato al futuro: diversità di aziende, mercato del lavoro attraente per talenti e per competenze (perché ricordiamocelo sempre: sono le persone che creano valore!), innovazione, incentivi per famiglie e giovani e per finire, ma non per importanza, istituzioni snelle, veloci e flessibili che contribuiscano in maniera tangibile al successo economico del nostro Cantone.
Credo fermamente che sia tempo di renderci consapevoli della nostra posizione e del nostro ruolo nella società e dell’urgenza che abbiamo di assumere un comportamento responsabile. Dobbiamo agire con il prioritario obiettivo di poter essere orgogliosi anche domani di ciò che facciamo oggi, contribuendo in maniera tangibile allo sviluppo sostenibile dell’interno ecosistema al fine di garantirne l’equilibrio e l’equità sociale.
Come imprenditore considero la salute e la sicurezza, fisica e sociale, dei lavoratori e delle parti interessate, di fondamentale importanza. Abbiamo il dovere di ascoltare e comunicare apertamente e onestamente, apprezzando le differenze e trattando le persone come individui nel pieno rispetto delle nostre diversità. In un contesto tanto riccamente eterogeneo come può essere la nostra realtà, dobbiamo promuovere con convinzione i valori di uguaglianza e inclusione.
Sia come individui sia come aziende, dobbiamo davvero impegnarci per la protezione del clima e la tutela dell'ambiente. Certo, lo Stato dovrà assumere un ruolo centrale in quello che sarà la definizione di una strategia chiara per l’integrazione delle misure di cambiamento climatico, ma sono persuaso che solo la responsabilità individuale potrà dare la giusta spinta a questa trasformazione epocale di mentalità e comportamento verso le risorse del nostro pianeta.
Infine, ma non per importanza, dobbiamo poter essere in grado di rispondere alle nuove sfide a cui ognuno sarà confrontato in futuro nel ruolo di attore economico, sia esso consumatore, produttore, risparmiatore, investitore, contribuente o altro. Mi riferisco all’orientamento economico che dovremo dare all’intera società, attraverso tematiche quali l’economia circolare, il consumo responsabile (in altre parole, basta sprechi), un sistema finanziario etico e la responsabilità sociale delle imprese. In questo processo ogni cittadino è direttamente coinvolto e ha l’opportunità di dare il suo importante apporto.
Sono convinto che il nostro Paese debba promuovere un agire imprenditoriale orientato allo sviluppo sostenibile fondato su questi tre imprescindibili pilastri e il nostro impegno si rifletterà sulle generazioni future.
È nostro dovere poter garantire ai nostri figli un mondo che dia loro speranza.
Formazione: il mercato del lavoro sta affrontando un cambiamento epocale e la formazione deve adattarsi fornendo un nuovo orientamento ai nostri giovani.
Formazioni generiche, infatti, risultano insufficienti e obsolete rispetto alle attuali esigenze della maggior parte degli ambiti lavorativi dove la lavorazione delle materie prime, la tecnologia, le abitudini di consumo e le prospettive future sono in continua mutazione. Le formazioni proposte dovranno quindi essere sempre più mirate e specialistiche. Il settore bancario ad esempio, trainante per decenni, ha subito una trasformazione tale per cui le professioni generiche come “Impiegato di Commercio”, dovranno forzatamente lasciare il posto a specialisti in grado di rispondere in maniera più efficace e competente alle reali esigenze.
La disoccupazione in Svizzera registra i tassi più bassi da 20 anni a questa parte. Vi sono settori poi come sanità, informatica e industria che denunciano una carenza di personale qualificato a livelli mai visti.
Ci troviamo dunque di fronte a una situazione dove si registra un eccesso di personale non qualificato per le esigenze del mercato e dell’altra parte una mancanza di personale qualificato.
Diviene sempre più urgente quindi un adeguamento della nostra proposta formativa volto a colmare questo divario. Con la speranza di raggiungere una situazione di equilibrio del mercato del lavoro di oggi e di domani, senza che questo infici ambiti più tradizionali dove collaboratori più specializzati rappresenteranno comunque un valore aggiunto.
Donne e lavoro: le donne rappresentano la maggioranza dei nostri laureati, investimento formativo che poi non viene sfruttato in quanto non sussistono le condizioni lavorative per cui una donna possa lavorare e contemporaneamente occuparsi della sua famiglia.
Attualmente, infatti, la donna è posta di fronte a una scelta, un bivio tra la carriera e la famiglia. Spesso a conti fatti risulta più oneroso pensare a un aiuto per la cura dei figli rispetto allo stipendio percepito anche a causa della disparità salariale rispetto agli uomini. In una coppia, dunque, si sceglie che a lavorare sia l’uomo, perché è colui che con grande probabilità potrà contribuire maggiormente al sostentamento della famiglia.
L’Ufficio Federale per l’Uguaglianza fra Uomo e Donna riporta che: “Le donne coniugate guadagnano in media il 24% di salario in meno rispetto agli uomini coniugati. Spesso, dopo la nascita di un figlio interrompono o riducono l’attività lavorativa. Vari studi dimostrano che le donne subiscono perdite di guadagno non appena diventano madri (malus della maternità), mentre per la maggior parte dei padri la paternità implica un aumento di salario (bonus della paternità).”
Sono dati di fatto che non sono ammissibili, è nostro dovere attuare immediatamente cambiamenti che lascino unicamente alla donna la scelta se lavorare o meno.
Non è accettabile un mondo del lavoro dove la donna ha grandi difficoltà a farsi riconoscere il proprio valore professionale. Le quote rosa sono solo un cerotto su una ferita che è ben più estesa e grave e che per guarire necessita di interventi radicali. La meritocrazie deve diventare l’unico criterio di valutazione.
Per sanare la situazione si deve cambiare la mentalità, a partire dallo Stato, regolamentando misure quali reddito adeguato alla funzione e al grado di responsabilità e non al sesso, possibilità di orari flessibili e telelavoro, concessione di congedi organizzati affinché si resti aggiornati e non tagliati fuori al rientro, collaborazioni con strutture di aiuto all’accudimento dei figli.
Invecchiamento della popolazione: “Il Ticino sta vivendo un malessere demografico caratterizzato da una continua diminuzione del numero di abitanti, a differenza di quanto accade negli altri Cantoni e nella Confederazione.” È la conclusione dello studio condotto da Ivano Dandrea e Edoardo Slerca riportata nel libro “L’incertezza demografica. Il Canton Ticino fra denatalità e invecchiamento”, edito da Armando Dadò Editore.
Le previsioni dicono che nei prossimi 30 anni perderemo il 5% della popolazione a dispetto di un aumento del 30% di altri Cantoni come Zugo, Zurigo e Friburgo. Uno dei motivi di questa continua erosione è che in Ticino non si fanno più figli, o se ne fanno molti meno che in passato: 2’500 nascite a fronte di 300’000 abitanti. Rispetto a soli pochi anni fa il numero di nascite è dimezzato. La natalità ridotta al lumicino e l’orientamento ad accogliere sempre più confederati d’oltre Gottardo non più professionalmente attivi, fanno del Ticino il Cantone più anziano della Confederazione (numero di abitanti over 65).
Le conseguenze di questa preoccupante situazione sono molteplici e gravi per la prosperità del nostro Paese. Innanzitutto, si restringe sempre più il numero di persone potenzialmente attive per il mercato del lavoro. Fatto questo che comporterà un’evidente insufficienza di lavoratori a tutti i livelli di professione. Risorse per altro già fortemente compromesse dalla “fuga di cervelli” dei nostri giovani che dopo gli studi preferiscono fermarsi oltralpe perché più pagati, con migliori condizioni quadro e maggiori prospettive di carriera.
Stiamo diventando quindi sempre meno competitivi, non cresciamo più da un punto di vista del PIL e dell’economia.
Oltre a minacciare il benessere dell’intero Cantone, una diminuzione della popolazione comporta conseguenze gravi anche a livello politico: significa infatti aver minor rappresentanza a livello Federale, ad esempio, nella ripartizione dei seggi in Consiglio Nazionale e nelle chiavi di riparto. Va da sé che meno presenza in seno a una delle due Camere Federali, si traduce in un inferiore peso decisionale, soprattutto quando si tratterà di dire la nostra su temi che riguardano gli interessi specifici del nostro territorio.
Pare quindi necessario e urgente creare delle condizioni affinché i giovani possano vedere nuovamente il Ticino come la propria casa, sicura e accogliente. Dobbiamo perciò affrontare con la giusta attitudine e il dovuto piglio il ruolo delle donne nella nostra società civile, sociale ed economica. Una migliore conciliabilità lavoro- famiglia deve essere un obiettivo primario. Parallelamente dobbiamo assolutamente bloccare l’emorragia endemica di fuga di cervelli verso gli altri Cantoni, rendendo attrattivo il nostro territorio da tutti i punti di vista di carriera, sia in termini di ambizione professionale sia soprattutto di salari conformi alla specificità della formazione e della funzione. Il Ticino riuscirà a uscire da questa crisi demografica, con tutte le conseguenze che la stessa comporta, quando finalmente tornerà a essere attrattivo per le giovani generazioni.
Un cambio strutturale della società che genererà valore e benessere a lungo termine per la nostra intera regione.